Il superminimo è una voce della retribuzione che individua un compenso aggiuntivo della retribuzione stabilita nel contratto collettivo. Il più delle volte è individuale, in quanto l’erogazione è stabilita da accordi inseriti nel contratto tra datore di lavoro e lavoratore, in virtù di specifiche qualità di quest'ultimo o per particolari situazioni di mercato. La corresponsione del superminimo individuale non viola il principio della parità di retribuzione a parità di mansioni, a meno che esso sia accordato in maniera arbitraria e determini discriminazioni vietate (Cass. S.U. n. 6050/1993). L'assorbimento del superminimo nei miglioramenti retributivi, costituisce un principio generale e quindi assorbibile. Solo una specifica previsione delle parti può escluderne l'operatività con la dicitura "non assorbibile". Per ricostruire la volontà negoziale, va valutato il comportamento delle parti anche successivo alla conclusione del patto, potendo, comportamenti reiterati del datore successivi alla pattuizione dell'emolumento, essere ritenuti concludenti nel senso dell'esclusione dell'assorbibilità (Cass. ord. 5 giugno 2020, n. 10779). La regola generale dell’assorbimento, non trova applicazione nei seguenti casi: 1) quando le parti del rapporto di lavoro abbiano stabilito che il superminimo non sia assorbibile; 2) qualora la contrattazione collettiva stabilisca che l’aumento retributivo non assorba i superminimi individuali goduti dai lavoratori; 3) nel caso in cui le parti del rapporto di lavoro abbiano attribuito al superminimo la natura di compenso speciale, strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente. In tal caso, il superminimo non è un generico miglioramento della posizione retributiva del lavoratore, ma ha un titolo specifico, e quindi diventa un elemento intangibile della retribuzione. Il superminimo individuale può sempre essere eliminato o ridotto da un successivo accordo.
Se il superminimo è collettivo (si veda parere n. 12/2009 della Fondazione Studi Consiglio Nazionale dell’Ordine Consulenti del lavoro): 1) le parti individuali (datore di lavoro e lavoratore) non possono stabilire una riduzione del superminimo previsto dal contratto collettivo (art. 2077 c.c.);
2) la clausola sul superminimo collettivo può essere modificata, anche in senso peggiorativo, dalla successiva contrattazione collettiva (Cass. 28.8.2004, n. 16691; Cass. 7.6.2004, n. 10762).
Il livello retributivo acquisito dal lavoratore subordinato, per il quale opera la garanzia della irriducibilità della retribuzione, prevista dall'art. 2103 c.c., deve essere determinato con il computo della totalità dei compensi corrispettivi delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore, attinenti cioè, alla professionalità tipica della qualifica rivestita, mentre non sono compresi i compensi erogati in ragione di particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano allorché vengano meno le situazioni cui erano collegati (Cass. 30 settembre 2015, n. 19465).
Il superminimo rientra nella retribuzione globale di fatto.
Sono computabili nella retribuzione utile al calcolo del T.f.r. i compensi considerati “omogenei” al rapporto di lavoro anche se non corrisposti con continuità (Cass. n. 2254 del 24.2.1993), fra cui anche il superminimo.
Il lavoratore può rinunciare o transigere il diritto al superminimo già maturato.
Si ritiene, infatti, che sono validi gli atti di disposizione aventi ad oggetto i vantaggi conseguiti in seguito a libera pattuizione individuale. In proposito, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2716/1998, ha affermato che «…l'art. 36 Cost., che riconosce il diritto del lavoratore ad una giusta retribuzione: ma la garanzia costituzionale di questo diritto patrimoniale, pur implicando la nullità di ogni rinunzia preventiva alla retribuzione, non comporta tuttavia una assoluta indisponibilità, e come non esclude la prescrittibilità del diritto, così non impedisce al legislatore di disciplinare le forme e i modi di esercizio del potere di impugnazione degli atti di disposizione eventualmente compiuti dal lavoratore, sotto pena di decadenza.»
Diverso discorso vale per il superminimo collettivo. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con parere n.12 del 2009, ha affermato che le rinunzie e transazioni che hanno ad oggetto il superminimo collettivo, rientrano nel campo di applicazione dell’art. 2113 c.c. dato che il diritto economico su cui incide la rinunzia, deriva non da contratto individuale ma da contratto collettivo.
La rinunzia o la transazione, quindi, per essere immediatamente valida e non impugnabile dal lavoratore nei 6 mesi successivi, deve essere effettuata in una delle sedi qualificate di conciliazione.
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