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Compensi “reversibili” di dipendenti, amministratori di una società del gruppo

Nei gruppi di imprese viene spesso richiesto ad un dipendente di una società, generalmente della capogruppo, di ricoprire ruoli all'interno del consiglio di amministrazione di una o più società del gruppo stesso.

L'attività nell'ambito del consiglio di amministrazione può prevedere l'erogazione di compensi reversibili, ossia compensi che il dipendente è tenuto a riversare al proprio datore di lavoro, il cui trattamento fiscale non è soggetto a trattenuta fiscale; oppure che vengano versati direttamente dalla controllata alla controllante/capogruppo che è il datore di lavoro del dipendente.

Di norma, infatti, la remunerazione di questi incarichi è già considerata nell’ambito della retribuzione che la persona percepisce in base al rapporto di lavoro in essere con la capogruppo, o con altra impresa associata, secondo il sistema premiante adottato, nello specifico, dal gruppo societario.

Tuttavia, ciò non esclude che la società possa deliberare la corresponsione di un compenso a fronte della prestazione resa da tali figure apicali (di solito un dirigente), disponendo però che questo venga pagato direttamente alla capogruppo o comunque alla società presso cui l’amministratore risulta essere in forza secondo il suo contratto di lavoro.

In questa circostanza si configura il cosiddetto “compenso reversibile”.

I Giudici della Suprema Corte affermano che si dà atto che nelle dinamiche interne ai gruppi societari, accade frequentemente che la società controllante affidi l'incarico di amministratore della società controllata ad un dipendente proprio, o di altra società del gruppo, e che la controllata corrisponda il compenso direttamente alla società della quale questi (il dirigente) è dipendente; pertanto, tale importo concorre senza dubbio in positivo alla formazione del reddito imponibile della società controllante nel periodo di competenza.

In modo del tutto simmetrico, allora, lo stesso criterio deve trovare riconoscimento per il costo sostenuto dalla società controllata, applicandosi la disciplina generale dell'articolo 109 Tuir; va invece escluso che possa in questa circostanza applicarsi il principio di cassa di cui all'articolo 95, comma 5, Tuir, poiché tale ulteriore condizione rafforzativa – quella del pagamento – si applica limitatamente al caso dei compensi pagati direttamente agli amministratori persone fisiche.

Nella precedente sentenza della Cassazione n. 22479/2020 si è riconosciuto che “la società non versa alcun compenso all'amministratore, legato da rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con altra società, ma si limita a versare a quest'ultima un corrispettivo per l'utilità ricevuta, consistente nella fruizione dell'attività di gestione societaria espletata dalla risorsa umana messale a disposizione”; pertanto, “la situazione fattuale non è, quindi, riconducibile alla fattispecie (...) della deduzione del costo rappresentato dal compenso all'amministratore, mancando l'erogazione di somme di denaro a tale titolo a colui che ha svolto l'attività gestoria”.



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